
In Italia è ancora difficile, per una donna, conciliare carriera e famiglia. Angela Corbari, imprenditrice ravennate, racconta come ha fondato una startup di successo, diventando (due volte) mamma.
L’eterna battaglia tra carriera e famiglia è un dilemma che tutte le ragazze vivono sulla propria pelle. Cresciamo con l’aspettativa che, in modo o nell’altro, prima o poi verremo poste di fronte a un aut-aut: continuare il nostro lavoro, coltivare i sogni dei nostri vent’anni e diventare le famigerate “donne in carriera” (odiosa espressione sessista); oppure chiudere bottega, fare un figlio, comprare casa e rassegnarci alla scelta fatta come fosse un destino ineluttabile. Lasciando indietro noi stesse. In un certo senso, non ci permettiamo di sognare entrambe le cose, sarebbe peccare di tracotanza, volere troppo. Inutile negarlo, è una dicotomia di cui gli uomini non hanno esperienza, per una serie di ragioni sociali e culturali. Per un ragazzo, lavoro e famiglia possono andare di pari passo, senza particolari conflitti.
Qualche tempo fa, durante un corso universitario, ho conosciuto Angela Corbari, imprenditrice (fondatrice della startup StudioMapp), e – sorpresa! – mamma di due bambini ancora piccoli. La sua storia mi ha incuriosito: come era riuscita a conciliare così bene queste due esperienze ancora per molti versi inconciliabili?
Ho deciso di fare una chiacchierata con Angela e farmi raccontare la sua esperienza di gestione di due “startup” contemporaneamente: da una parte il suo progetto imprenditoriale (che condivide col compagno Leonardo) e dall’altra la sua famiglia. Non sono certo state tutte rose e fiori. “Quando sono rimasta incinta per la prima volta, lavoravo a partita Iva per la pubblica amministrazione” racconta Angela. “Poco dopo la nascita di mio figlio, mi è stato chiesto con insistenza quando sarei tornata a lavorare. Non mi era possibile in quel momento. Per questo, mi sono dedicata a fare la mamma full time.”
Questa potrebbe essere la fine della storia, per una qualsiasi donna italiana. Il sostegno alle lavoratrici non è il punto forte del nostro welfare state: il congedo di maternità dura 5 mesi ed è previsto solamente l’80% della retribuzione (in Germania, per esempio, le donne incinte percepiscono lo stipendio pieno per 14 settimane a cavallo della nascita, e possono restare a casa per 3 anni percependo il 67% dello stipendio). Come sappiamo, inoltre, è difficilissimo ritornare a svolgere un lavoro qualificato dopo un’esperienza di maternità, ulteriore aspetto che ci differenzia dalla Germania e da altre nazioni europee. L’assenza di tutele adeguate spinge molte donne a rinunciare alla propria vita professionale. “Stavo a casa e mi occupavo di mio figlio, ma non era semplice. Sentivo mancare una parte di me. La maternità è un’esperienza totalizzante, ma non volevo diventasse un martirio“.
Così, lentamente, Angela è tornata sui suoi progetti. “Abbiamo vinto un bando del comune di Ravenna sugli open data. Poi è nata la nostra prima startup, NomadFamily. E infine il progetto Qirate, confluito poi nel 2015 in StudioMapp”.
Angela è una naturalista, il suo compagno un informatico. Il progetto Qirate ha come obiettivo di fornire dati in formato open sulla qualità della vita in diverse località, ad uso di operatori turistici e pubbliche amministrazioni. StudioMapp ha da poco vinto un bando dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea) e aprirà una nuova sede operativa a Roma. In questi anni, Angela e Leonardo hanno viaggiato molto per lavoro, accompagnati spesso dai loro figli: la presenza e l’aiuto di lui sono stati preziosissimi. Il sostegno di un partner, nel mantenimento dell’equilibrio tra vita famigliare e lavorativa, è fondamentale e – per gli standard italiani – molto poco scontato.

Angela Corbari in ufficio insieme alla piccola Dalia
Durante la seconda gravidanza, Angela si è costruita anche la sua seconda chance professionale. “Qui se vuoi sta la follia: fondare una startup incinta e gestire un progetto europeo, con una bimba di pochi mesi e un altro di quattro anni. In realtà grazie a questa scelta ho potuto gestire la mia famiglia e il lavoro in totale libertà – anche se con grandi sacrifici e comunque grazie all’aiuto di babysitter e in parte dei nonni. Pian piano siamo riusciti ad ottenre grandi risultati ugualmente. Anzi, avevamo una motivazione ancor più forte”.
È una storia di successo. Ma soprattutto è una storia che parte dalla negazione degli stereotipi più comuni su lavoro e maternità: che quando fai un figlio la tua professione perde importanza, che impegnarsi al massimo per realizzare i propri sogni significhi per forza rinunciare alla vita famigliare. Abbiamo bisogno di più storie come quella di Angela, che ci raccontino che figli e carriera non devono restare opzioni mutualmente esclusive. Si devono poter combinare, si deve poter scegliere uno invece dell’altro: quello che conta è, come primo passo, liberarsi dei sensi di colpa.