Life Is Strange

Qualche settimana fa, in occasione della Pisa Global Game Jam, ho presentato una serie di riflessioni sullo stato dell’industria dei videogiochi dal punto di vista della diversità di genere. Il mio intervento ha spaziato dalla presenza femminile all’interno della comunità del game development, all’analisi delle protagoniste, fino a una manciata di spunti per le autrici e gli autori di giochi su come evitare gli stereotipi di genere.

Life Is Strange

 

Il post che segue è tratto da un articolo inizialmente pubblicato sul blog di Game Happens.

Dal brand all’autorialità

Uno dei più interessanti cambi di prospettiva culturale a cui stiamo assistendo in questi anni è come, all’interno dell’industria, l’attenzione si stia spostando dal brand a una dimensione autoriale del gioco. Un videogioco indipendente è – prima di tutto – un modo per chi crea l’opera di comunicare la propria visione, le proprie esperienze, possibilmente senza che gli interessi esterni snaturino l’artefatto.

Nel suo libro Empathy Engines (disponibile su Itch.io), Elizabeth Sampat chiede ai game designer di creare giochi che siano sinceri e coerenti con le proprie intenzioni, sottolineando l’essenza dell’autorialità nei giochi autobiografici e personali.

Nessun’altra persona ha la tua esatta esperienza di vita, e quando trasferisci la tua esperienza di vita all’interno di un gioco e lo fai in un modo reale e intimo, stai creando un gioco che nessun’altra persona può fare.
Elizabeth Sampat

“Un gioco che nessun’altra persona può fare”. Questo è un aspetto fondamentale, sotto molteplici punti di vista. Certamente, tutti vogliono creare giochi che siano in qualche modo originali, che comunichino un messaggio unico, ma non è solo questo. Si tratta della diversità di storie che prima di tutto noi – le persone che lavorano in questa industria – decidiamo di generare, rinforzare e a cui diamo importanza.

Ho dovuto creare io stessa un gioco affinché potessi vedere una persona come me ricoprire il ruolo da protagonista.
Mattie Brice

Con questo messaggio inviato su Twitter nel 2012, Mattie Brice – critica di videogiochi – ha portato il suo personale contributo alla conversazione globale #1reasontobe, una conversazione che ha raccolto centinaia di motivazioni che in qualche misura contribuiscono a tenere distanti le donne dall’industria del gaming.

L’hashtag #1reasonwhy è nato in risposta a #1reasontobe, al fine di promuovere storie positive e di donne leader che lavorano nella game industry. Ciò è accaduto più di quattro anni fa. C’è ovviamente ancora tanta strada da percorrere: siamo continuamente esposte a stereotipi che reiterano una singola storia e questo rende sempre più difficile che la diversità di esperienze emerga. Ed è anche per questo che è fondamentale mantenere viva la conversazione, continuare a evidenziare i titoli che promuovono valori positivi ed esperienze uniche.

Quando parlo di stereotipi di genere, cito sempre Chimamanda Ngozi Adichie e il suo fantastico TED talk sul pericolo di avere un’unica storia.

L’unica storia crea stereotipi, e il problema con gli stereotipi non è che sono falsi, ma che sono incompleti. Trasformano ‘una storia’ in ‘l’unica storia’. La conseguenza dell’unica storia è questa: ruba la dignità alle persone. Rende difficile riconoscerci uguali in una stessa umanità. Enfatizza gli aspetti che ci differenziano a discapito di quelli che ci rendono simili.
Chimamanda Ngozi Adichie

La rappresentazione di genere all’interno dei videogiochi, è spesso costruita attorno a un’unica storia. La storia di un eroe, un uomo bianco con i capelli castani (che è anche eterosessuale, cisgender, appartenente alla classe media, senza disabilità fisiche o psichiche). La storia di un personaggio femminile (spesso non giocabile) esageratamente sessualizzato.

Le altre storie vengono cancellate dalla memoria collettiva, vengono sepolte sotto tonnellate di stereotipi. In qualità di autrici e creatrici, ogni volta, decidiamo quali sono i tipi di storia che devono essere inclusi (ed esclusi) nei nostri giochi. Decidiamo di rafforzare lo status quo, o di dar voce a differenti storie.

6 esempi

In chiusura della mia presentazione, che trovate a fondo post, ho individuato alcuni interessanti esempi di rappresentazione positiva, che quindi non si basa su stereotipi, ma che cerca di indagare la complessità del genere.

 

Ecco i sei giochi che ho citato.

  • Life is Strange (la protagonista Max e tutti gli altri personaggi femminili non sono sessualizzate)
  • Lifeline (la storia di Taylor, il cui genere non viene mai dichiarato – Taylor è sia nome maschile che femminile)
  • Journey (i personaggi sono iconici e non sono caratterizzati a livello di genere)
  • Sunless Sea (chi gioca decide i termini preferiti, es. Madam, Sir, Citizen,…)
  • Fallen London (chi gioca può decidere tra lady / gentleman / oppure persona dal genere indefinito)
  • Dominique Pamplemousse (protagonista gender neutral, cioè che non si riconosce nel genere femminile né in quello maschile, già citato in un nostro articolo)