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Mentre i genitori a volte impongono regole per l’utilizzo dei social media ai loro figli, le regole più importanti sono quelle che i ragazzi creano per se stessi. E spesso sono regole non dette, e guai a chi le infrange.

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Grazie a una segnalazione di mamamò ieri ho letto un articolo interessante del NYT sulle regole che i ragazzi si danno quando postano sui social media. L’articolo è scritto da Devorah Heitner autrice di “Screenwise: Helping Kids Thrive (and Survive) in Their Digital World.”, e consulente in molte scuola superiori degli Stati Uniti dove tiene dei laboratori e focus group sui digital media.

Mentre i genitori a volte impongono regole per l’utilizzo dei social media ai loro figli, le regole più importanti sono quelle che i ragazzi creano per se stessi. E queste regole spesso non dette possono essere molto rigide: le ragazze – secondo le osservazioni di Devorah – vogliono essere sexy, ma non troppo sexy. E bisogna fare attenzione a quali foto delle vacanze condividere in modo da non sembrare vantarsi. Va bene inviare foto da un evento divertente, ma non troppe.

Immagini sexy

La scuola media può essere un momento particolarmente complicato per le ragazze. Stanno sperimentando la loro identità sociale, anche se il loro mondo always-on digitale intensifica il controllo. Molte vogliono essere considerate carine (anche sexy, in certi casi), tanto quanto innocenti e “belle”. Questo è un atto di bilanciamento impossibile. I genitori possono aiutarle suggerendo alternative più efficaci che pubblicare immagini in costume da bagno.

Quante foto postare da un evento?

Ci sono anche regole non scritte su quante foto postare da un evento, un limite ritenuto accettabile oltre il quale meglio non andare. Postare da una a tre immagini va bene, e tutti d’accordo che è “antipatico” e “fa esplodere i telefoni delle persone” un enorme flusso di immagini da una festa o un evento. Questo tipo di immagini possono anche portare a sentimenti di esclusione. Immaginate di guardare una festa svolgersi, in tempo reale, su Snapchat o Instagram, e voi non siete lì. L’esperienza può essere assolutamente devastante per un adolescente.

Con la vita costantemente in mostra, è una sfida anche per chi ha buone intenzioni evitare di fare sentire gli altri esclusi. La regola è meglio non mentire o trovare scuse. C’è sempre il rischio che qualcuno condivida foto in cui ci siamo anche noi e venire subito scoperti.

E i genitori?

I genitori spesso percepiscono gli smartphone dei loro figli come portali per un altro mondo – di cui sanno poco o nulla. Uno studio pubblicato il mese scorso da commonsensemedia.org ha rilevato che meno della metà dei genitori intervistati ha regolarmente discusso i contenuti dei social media con il loro figli adolescenti. Ma i genitori devono sapere che i coetanei dei loro figli hanno creato un proprio set di regole per i social media, e che dovrebbero chiedere quali siano ai loro figli. Cosa è permesso inviare, e cosa sembra essere off-limits? Le regole sono uguali per maschi e femmine? Mi mostri un esempio di messaggio buono e uno che non va bene?

In uno studio pubblicato la scorsa estate – continua a raccontarci Devorah Heitner nel suo articolo – i ricercatori dell’Università della California hanno scoperto che i centri del piacere nel cervello degli adolescenti rispondono alla ricompensa di ottenere “mi piace” su Instagram esattamente come fanno i pensieri su sesso o denaro. E proprio come i genitori cercano di insegnare ai bambini l’autocontrollo per quanto riguarda quel tipo di lusinghe, devono anche parlare con loro su come non cadere vittima di un comportamento che si pentiranno di aver avuto mentre bramano quei “like”.

Stimolare i nostri figli a raccontarci di queste regole non dette può essere il primo passo per aiutarli a essere più comprensivi con i loro coetanei, suggerisce Devorah Heitner. Quando osserviamo i nostri figli giudicare duramente coloro che hanno una sensibilità diversa sull’uso dei social media, dobbiamo mettere da parte i nostri pregiudizi sul loro mondo e aiutarli a coltivare l’empatia per l’altro.