
Disrupted. Un giornalista americano, dopo aver perso il lavoro, inizia a occuparsi di marketing in una famosa azienda tecnologica: in un libro da poco uscito negli Stati Uniti racconta la sua disavventura.
Dan Lyons è un giornalista americano, ex reporter tecnologico di Newsweek. Nel 2012 riceve una telefonata al sorpresa dal suo caporedattore: in redazione non c’è più spazio per lui. La rivista ha subito perdite per diversi anni e non può più permettersi di pagare un senior editor della sua levatura ed esperienza.
Così Dan, cinquantadue anni e una lunga carriera giornalistica alle spalle, si trova a doversi reinventare da zero in un nuovo ambiente professionale. Sceglie l’universo rampante, dinamico – e soprattutto innaffiato di soldi- delle start-up tecnologiche, dove spera di inserirsi come blogger e content marketer. Viene assunto dalla compagnia di Boston HubSpot, che si occupa della produzione di software per il marketing online.
Disrupted: my misadventure in the start-up bubble, uscito da poche settimane negli Stati Uniti, è il racconto scanzonato – non privo di note amare – del tentativo di un ex reporter di mezza età di confrontarsi con un brave new world con cui ha ben poco in comune.
Ma è anche la critica di un outsider, acuta e documentata, di alcuni aspetti del “modello start-up”. Li riassumiamo qui con 5 citazioni del libro*:
1. “Molti imprenditori non hanno esperienza. Alcuni raccolgono fondi senza nemmeno sapere quale prodotto o servizio produrranno. Molti di loro non hanno mai gestito una compagnia in vita loro. Alcuni non hanno mai avuto un lavoro.”
Una delle caratteristiche di HubSpot che Lyons nota è la quasi totale mancanza di impiegati con esperienza: i manager sono ragazzi appena usciti dal college, spesso al primo impiego. E quali sono le conseguenze? Mancanza di organizzazione aziendale, ricambio continuo dello staff. La compagnia può ovviamente trarre profitto da questo schema, non dovendo pagare troppi stipendi a impiegati senior.
2. “Ho mandato una mail alle risorse umane, chiedendo se avessero qualche statistica sulla diversity in azienda. Mi hanno risposto secchi: no, perché?”
Altro tasto dolente è quello relativo alla diversity (la pluralità in termini di genere o razza di un particolare ambiente): a HubSpot ci sono pochissime donne in posizioni manageriali e nessun impiegato di colore. Il problema non è limitato alla realtà della singola compagnia: il miglioramento dell’inclusione – in termini specialmente etnici – è una delle grandi sfide attuali delle compagnie tecnologiche. Potete leggere qui un articolo di Mashable sulla questione.
3. “(…) l’equivalente in HubSpot degli Operating Tethan di Livello 8 di Scientology.”
Il paragone tra HubSpot e una setta è ricorrente nel libro: gli impiegati hanno una venerazione quasi religiosa per la cultura aziendale – potete vedere qui le slide sul Codice Culturale del fondatore della compagnia -, girano con cappellini e vestiti arancioni, il colore ufficiale dell’azienda, e utilizzano un lessico interno – esiste addirittura l’aggettivo “HubSpotty”. Le critiche o la mancanza di entusiasmo non sono ben tollerati, come lo stesso Lyons sperimenterà sulla sua pelle in un paio di occasioni.
4. “Avere il prodotto migliore non ha nulla a che fare con chi sarà il vincitore.”
HubSpot, così come molte altre start-up tecnologiche, investe molto di più nel marketing che nello sviluppo del prodotto – in questo caso un software. Conferenze oceaniche, immensi sforzi per ottenere copertura mediatica, dipartimenti interi dedicati soltanto alla cura del brand: l’impressione che ne deriva è che la competizione si giochi molto più sul terreno della narrazione o dell’immagine che su quello della qualità dei servizi.
5. “Durante le riunioni si parla a un orso di peluche”
E infine la ciliegina sulla torta: le trovate bambinesche e leggermente ridicole, come le feste di Halloween in costume, lo scaffale con le caramelle gratis e l’abitudine di portare un orso di peluche alle riunioni aziendali – che dovrebbe rappresentare la figura del cliente. Sono queste a rappresentare per Lyons il campanello d’allarme: nel mondo del nuovo marketing digitale è essenzialmente un pesce fuor d’acqua.
Il libro di Lyons è una rappresentazione tutto l’universo delle start-up? Certo che no. È prima di tutto un libro nato per divertire e raccontare una vicenda personale. Ma contiene diverse analisi molto lucide sui modelli di business, non sempre sostenibili, che la seconda bolla internet ha portato in auge. Oltre a essere una critica feroce ai dirigenti di HubSpot: fautori di una cultura giovanilistica faticano a comprendere e valorizzare l’esperienza di un impiegato senior, tanto che nel testo si parla spesso di discriminazione in base all’età.
“Disrupted” ha avuto il pregio di far emergere un ampio dibattito ed è decisamente un libro da leggere per chiunque lavori nel mondo dell’economia digitale. Potete vedere la risposta di Dharmesh Shah, fondatore di HubSpot qui.
*le traduzioni dall’inglese sono dell’autrice.
Ps. A proposito di dissacrazione dell’ecosistema start-up, vi siete già imbattute nel sito di KeFuturo, il Lercio delle start-up? Vi strapperà sicuramente una risata 🙂
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Articolo interessante. Anche in Italia il mondo startup appare molto maschile. Sapete dirmi dove trovare dati statistici (ammesso che esistano) in proposito?
@Annamaria, sono riuscita da trovare un rapporto delle camere di Commercio Italiane relative al primo trimestre 2015.
Secondo questo rapporto, “Le startup a prevalenza femminile sono 477, il 12,9% del totale, una quota inferiore a quella delle società di capitali femminili (16,4% del totale delle società di capitali). Le società in cui almeno una donna è presente nella compagine societaria e/o nell’organo amministrativo sono 1.654 (44,6% del totale startup, quota non distante da quella delle società di capitali con presenza femminile, 50,1%).”
spero di esserti stata utile.