
Lucia Rampanti, vincitrice del BEST Program e startupper, dopo l’esperienza in Silicon Valley, oggi è tornata in Italia per realizzare i suoi progetti e stimolare la crescita occupazionale.
Chi è Lucia Rampanti? Una giovanissima startupper di origini genovesi, laureata al Politecnico di Milano in Architettura, Erasmus a Grenoble, Alta Scuola Politecnica, da sempre appassionata di Internet, digitale e sport. Nel 2014 fonda, con Francesco Corazza e Andrea Pollio, Upendu, piattaforma digitale dedicata al mondo dello sport, che permette agli utenti di scegliere la location, la disciplina che si desidera praticare e la propria marca preferita, il sistema poi confronta le tariffe dei negozi di noleggio di attrezzature sportive online e offline, fornendo le proposte migliori in base alle sue necessità.
Grazie a questa innovativa idea di startup, Lucia ha avuto la possibilità di partecipare al Best Program, programma di scambio con la Silicon Valley rivolto agli under 35.
Terminati i 6 mesi, Lucia ha scelto di tornare in Italia e mettere a frutto le sue esperienze e le sue conoscenze per dar vita ad una nuova realtà imprenditoriale, Spoon City, dedicata al settore architettura, con l’obiettivo di favorire l’occupazione, migliorare il rapporto tra domanda e offerta, cercando di esportare all’estero la figura dell’architetto italiano.
Impegno, creatività, professionalità e innovazione, sono caratteristiche vincenti per dar vita ad una startup di successo.
Girl Geek Life ha voluto intervistare Lucia Rampanti per conoscere qualche dettaglio in più della sua esperienza.
Come hai deciso di partecipare al BEST Program?
Ho deciso di partecipare al BEST durante il programma di accelerazione TechPeaks svoltosi a Trento, durato da fine marzo a fine luglio 2014. Io e il mio co-founder, Francesco Corazza, all’epoca stavamo lavorando su Upendu, piattaforma per prenotare lezioni sportive on-demand. Grazie a quel percorso abbiamo avuto mentor provenienti da tutto il mondo, anche e soprattutto dalla Silicon Valley. Quindi, la possibilità di poter vivere 6 mesi sotto quel tipo d’influenza, mi è sembrata una grande opportunità da cogliere.
Cosa ci racconti della tua esperienza in Silicon Valley?
La mia esperienza è stata in un certo senso chiarificatrice. Fare confronti tra la scena startup italiana e quella californiana è stato inevitabile. Mi sono resa conto che forse il nostro limite più grande è l’essere pessimisti. Lì si respira energia positiva e tutti sono disponibili ad ascoltarti e/o aiutarti. Giusto per fare qualche esempio: ho incrociato Sam Altman per caso dopo una cena con le ragazze di Female Founders Conference by Ycombinator e ha fatto volentieri quattro chiacchiere con me, sinceramente curioso di sapere da dove venissi e cosa facessi a San Francisco. Sono riuscita ad ottenere un appuntamento a pranzo con il CEO di Thumbtack per parlargli di spoon.city e ancora Bo Fishback, il CEO stesso della startup per cui ho lavorato, (Zaarly) come UX designer, che mi ha dedicato qualche ora del suo tempo per parlare del modello di business di spoon.city. In Italia purtroppo ho avuto spesso l’impressione che basti molto poco per montarsi la testa e che il sentimento più forte sia la paura di essere fregati. La diretta conseguenza di tutto ciò è la chiusura verso il prossimo e una generale mancanza di disponibilità e umiltà.
Cosa ti ha trasmesso e cosa ti ha insegnato questa avventura?
Mi ha insegnato a pensare in grande, molto in grande, a essere aperta al confronto, a farmi amici non un network. Ad apprezzare ancora di più il mio Paese. Infine una citazione che porto con me lasciatami dal mio supervisor l’ultimo giorno di internship è la seguente: ”Design Like You’re Right. Listen like you’re wrong“. E credo sia una citazione che si possa applicare anche ad ambiti diversi dal design.
Come mai la decisione di tornare in Italia?
Al di là del fatto che le borsa stessa prevede il rientro in Italia dei beneficiari entro i 6 mesi previsti del visto, ho ritenuto giusto rientrare perché credo di poter essere molto più utile qui.
In che modo pensi di trasformare le tue idee in potenziali business in grado di generare posti di lavoro e creare valore? Obiettivi per i prossimi tre anni?
Upendu in questo momento è in una fase transitoria, devo trovare i compagni di viaggio giusti, mentre, per quanto riguarda spoon.city, grazie ai contatti che ho coltivato in California, sto cercando di creare un ponte che consenta agli architetti qui in Italia di lavorare in remoto per clienti o studi di architettura in altre parti del mondo, senza dover per forza trasferirsi. I 6 mesi dopo il rientro fanno ancora parte del programma BEST e dovrebbero prevedere un supporto in termini di mentoring e una collaborazione con gli sponsor. Nel mio caso specifico si tratta della Regione Veneto. Nei prossimi 3 anni mi auguro di risolvere la situazione di sfruttamento che molti architetti, soprattutto giovani stanno vivendo qui in Italia a causa dall’alta concentrazione di questa professionalità (1 architetto ogni 400 abitanti vs 1 ogni 3000 in US), di riflesso l’obiettivo è che spoon.city stesso scali al punto di poter generare nuovi posto di lavoro. Si tratta pur sempre di una startup in ambito digital quindi sviluppatori e designer sono necessari per il suo sviluppo.
Penso che a volte si parli troppo e si agisca poco. In generale credo che manchino programmi di accelerazione in grado di fornire un network internazionale e le risorse economiche. Di TechPeaks siamo rimasti molto soddisfatti.
Cosa significa per te la parola “innovazione”?
Tentare di cambiare una situazione in meglio percorrendo strade mai esplorate.
Un consiglio alle giovani (e ai giovani) startupper
Perseguite qualcosa di cui siete veramente convinti.
Per saperne di più su Spoon City, la nuova piattaforma online dedicata agli architetti: www.spoon.city
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