Siamo onesti: quanti tra noi docenti si preoccupano di fornire buone competenze digitali ai propri studenti?

Foto di haramlik, Flickr

Foto di haramlik, Flickr

Dalle Indicazioni nazionali per il Curricolo (2013) emerge il “Profilo delle competenze al termine del primo ciclo di istruzione”, cioè della scuola media, in cui si legge: “Lo studente, al termine del primo ciclo, ha buone competenze digitali, usa con consapevolezza le tecnologie della comunicazione per ricercare e analizzare dati ed informazioni, per distinguere informazioni attendibili da quelle che necessitano di approfondimento, di controllo e di verifica, e per interagire con soggetti diversi nel mondo.

Il concetto è ribadito in nota dove troviamo un riferimento alle otto competenze chiave raccomandate dal Parlamento Europeo nel 2006, nello specifico: “La competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. Essa implica abilità di base nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione: l’uso del computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet.”

Insomma la scuola di base ha il compito di “sfornare” ragazzini digitalmente alfabetizzati perché in futuro non rimangano esclusi dal mondo del lavoro e possano avere un ruolo consapevole e attivo nella società. A quanto pare anche noi ci siamo accorti – perlomeno sulla carta – che quella che gli americani definiscono digital literacy è diventata un requisito indispensabile per i cittadini di domani (e di oggi) e che deve occuparsene in primis la scuola, agenzia formativa per eccellenza.

Torniamo alla domanda iniziale. Quanti insegnanti hanno preso in seria considerazione le indicazioni giunte dal Ministero e dall’Unione europea (magari leggendole prima con attenzione)? In quante scuole ci si sta ponendo il problema dell’alfabetizzazione digitale (se è considerato tale)?

Entriamo in una seconda media durante la lezione di italiano.

Tra le diverse tipologie testuali si studiano (ancora) la lettera e il diario. L’antologia propone classici intramontabili: “Il diario di Anna Frank”, “Le lettere dal carcere” di Antonio Gramsci. I ragazzi non capiscono – ma come parla ‘sto Gramsci col figlio? – l’attenzione scema rapidamente, la classe si agita (nonostante la lezione si svolga alla LIM). Anna Frank ha un viso dolce da adolescente che soffre, ciò la rende più amica, raccoglie qualche consenso in più. Parla d’amore, d’affetti, ma anche di guerra. Bo’?! Hanno difficoltà ad immedesimarsi, a comprendere la tragedia dell’Olocausto, anche perché non l’hanno ancora studiata (è programma di terza).

La lettera, il diario, due modi ormai desueti di comunicare, esprimere i propri pensieri, i propri stati d’animo. Come docente faccio fatica a motivarne la scelta all’interno della programmazione didattica. Non sarebbe più opportuno insegnare (anche) il blog e l’e-mail? Ci provo:”Ragazzi, dovete imparare a scrivere bene una lettera o una pagina di diario perché sono tra le tracce sicure degli esami di stato. E’ importante per fare una buona prova scritta di italiano.” Non mento, ma onestamente neppure a me sembra una motivazione valida.

Fortunatamente sul libro di testo ci sono anche altri brani più attuali. In uno si parla di uno scambio di mail tra due adolescenti (anche se nella realtà essi comunicano sui social), due amici di penna dei tempi moderni. Il titolo del brano contiene la parola mail, parola che l’autore ha supposto andasse spiegata a studenti dodicenni in una nota a pie’ di pagina: il termine e-mail (posta elettronica) indica il servizio che consente la corrispondenza in rete (cioè via Internet) tra due o più persone. Fortuna che i ragazzi non sempre leggono le note (in questo caso è stato un bene) così l’autore dell’antologia si è risparmiato qualche “complimento”.

Ed ora, spazio ad alcune riflessioni.

Per aiutare i nostri alunni a acquisire buone competenze digitali – e non solo – dovremmo:

  • innanzitutto avercele noi docenti
  • poi disporre di strumenti adeguati (computer, LIM, Internet)
  • naturalmente abolire i manuali scolastici (forniscono informazioni belle e pronte, propongono percorsi forzati, non sempre sono aggiornati, non invogliano alla ricerca, inducono alla pigrizia mentale gli alunni, ma soprattutto i docenti)
  • preferibilmente praticare un insegnamento transdisciplinare (la conoscenza non è divisa in compartimenti stagni)
  • ed infine aprire la classe al mondo o – se preferite – portare il mondo in classe (con Internet si può)

Sembra un’esagerazione?

Lo è se motiviamo l’impraticabilità di questo modello educativo con l’inadeguatezza della scuola italiana per carenza di strumenti, ambienti inappropriati, docenti non formati ad un uso didattico del digitale, politiche miopi, conservatorismo diffuso.

Ma attenzione!

Mentre noi dibattiamo ancora di digital literacy, altrove questo concetto è già superato e si parla di transliteracy. Questa parola definisce in una prospettiva unica le caratteristiche di una persona alfabetizzata del 21° secolo. Il termine non è nuovo ma assume una nuova connotazione in riferimento alla rivoluzione digitale che sta cambiando così velocemente il mondo della conoscenza e della comunicazione.

L’analfabeta del 21° secolo non sarà più colui che non sa leggere e scrivere, ma chi non è capace di interagire con una varietà di piattaforme, strumenti e media attraverso la scrittura, la stampa, la TV, la radio, il cinema, i social network e ogni tipo di strumento digitale. Sinteticamente per transliteracy si intende la capacità di acquisire e rappresentare la conoscenza attraverso differenti media contemporaneamente. La competenza digitale non va considerata (e insegnata) a parte, ma strettamente integrata con le altre, in particolare con quella testuale e visiva, si parla infatti di competenze plurime.

Il concetto di transliteracy  – che allude all’alfabetizzazione in generale – esisteva anche prima, quando non c’era il Web 2.0 e i media erano solo libri, carta e penna. Ma se lo applichiamo alla realtà odierna, molto più variegata e piena di stimoli dal punto di vista cognitivo e comunicativo, capiamo quanto sia importante ed urgente occuparsene.

E’ cambiato il contesto, sono cambiati gli strumenti, ma purtroppo non è cambiata la scuola. Oggi ai nostri ragazzi va innanzitutto insegnata l’abilità di imparare muovendosi da un media all’altro, di applicare strategie di ricerca efficaci, che portino ad un apprendimento significativo. Non si può parlare di competenza digitale come di una competenza a sé stante o affidata solo ad alcune discipline. Tutti i docenti ne devono condividere la responsabilità.

Una ben nota citazione di John Dewey, vecchia di qualche decennio, ci indica la strada da seguire: “If we teach today’s student as we taught yesterday’s, we rob them of tomorrow”.

 “Se insegniamo agli studenti di oggi come insegnavamo a quelli di ieri, li derubiamo del loro domani.”