
Le tecnologie dovrebbero servire a semplificarci la vita, e spesso lo fanno. Dipende da come le usiamo.
Pensiamo alla scuola e immaginiamo una classe normale di un istituto normale con alunni anch’essi nella norma. E’ molto probabile che la maggior parte dei docenti di questa classe utilizzi ancora metodi tradizionali di insegnamento, prediliga la lezione frontale accompagnata dalle classiche modalità di verifica come l’interrogazione o il compito in classe e assegni tutti i giorni compiti per casa agli studenti. Nonostante la presenza sempre più diffusa di strumenti tecnologici nelle scuole – magari anche nella nostra – oggigiorno si incontrano ancora pochi docenti disposti a sperimentare nuovi percorsi didattici per adeguare i loro metodi di insegnamento alla convivenza con Internet, LIM, Tablet e PC, ma soprattutto alle rinnovate esigenze dei cosiddetti nativi digitali, abituati ad avere tutto a portata di click, compreso il sapere.
E’ evidente che i ragazzi di oggi hanno modalità di apprendimento diverse da quelli di ieri, e per ieri non intendo un tempo troppo lontano. Hanno livelli di attenzione più bassi, concentrazione più labile, memoria più corta, ma in compenso interessi più variegati, intelligenza più vivace, socialità più aperta. La generazione cresciuta a merendine e web e con un touch screen tra le mani non è “programmata” per trascorrere lunghe ore sui libri di scuola, impazzire per un’equazione, scervellarsi per una traduzione come si faceva in passato. Tanto meno lo sono i loro genitori, impegnati nel lavoro, spesso assenti mentre il figlio è alle prese con i compiti, ammesso che abbia deciso di farli. Perché sforzarsi di memorizzare un argomento che all’occorrenza è facilmente reperibile in Rete? Perché impegnarsi a risolvere un calcolo complesso se ci sono le macchine che lo fanno per noi? Perché usare l’enciclopedia per le ricerche? Che dire poi delle versioni di latino e greco? E non finisce qui…
“Ma prof, allora Google che ci sta a fare?”
Non di rado mi è capitato di sentirmi rivolgere questa domanda dai miei alunni.
Non è solo la fatica dello studio domestico a scoraggiare molti giovanissimi studenti. Spesso ci si trova davanti a reali incomprensioni, difficoltà, passaggi poco chiari, talvolta risultato di distrazione in classe. Dunque si è costretti a fare uno sforzo incredibile per andare avanti, per completare il lavoro assegnato, senza essere sicuri di procedere nella giusta direzione e col rischio di continuare a non comprendere se, malauguratamente, il compito non dovesse essere corretto dall’insegnante il giorno dopo (come spesso accade!). Consideriamo inoltre che un certo numero di studenti, per non arrivare impreparato in classe, continua – usanza mai passata di moda – a copiare i compiti dal compagno più bravo.
Situazioni come queste – soprattutto se protratte nel tempo – portano irrimediabilmente all’insuccesso scolastico. Tuttavia una soluzione ci sarebbe, una soluzione sovversiva, destabilizzante per certi versi, già sperimentata da alcuni con successo. Si chiama Flipped Classroom e – tanto per cambiare – viene dall’America dove to flip significa rovesciare. Da qui l’espressione “classe rovesciata”.
Come si fa a rovesciare una classe?
La lezione non viene più tenuta a scuola, ma videoregistrata dal docente, creata con altri strumenti multimediali o più semplicemente reperita sul web e condivisa con gli alunni. A casa i ragazzi hanno modo di assistere alla spiegazione dell’argomento come, quando e dove vogliono, assecondando così i propri ritmi e stili cognitivi. La fase dell’esercitazione – per intenderci, i compiti a casa – viene svolta in classe il giorno dopo sotto la guida e la supervisione dell’insegnante e con la possibilità di effettuare un lavoro collaborativo insieme ai compagni sfruttando quindi le potenzialità del gruppo e il tutoring del docente. La classe diventa così un laboratorio di studio, mentre alla lezione si assiste da casa dove, peraltro, è possibile fissare meglio i contenuti venendo a mancare quegli elementi di disturbo spesso presenti in aula ed essendoci, in aggiunta, la possibilità di rivedere più volte le parti poco chiare che necessitano di un particolare rinforzo, oppure di approfondire quelle di maggior interesse.
Per capire il funzionamento di una flipped classroom diamo un’occhiata ad un ciclo completo di apprendimento:
- FASE ESPERIENZIALE IN AULA: il docente stimola l’interesse dei ragazzi proponendo un’esperienza concreta, un esperimento, una simulazione sull’argomento di lezione
- FASE ESPLORATIVA A CASA: vengono condivisi con gli studenti materiali di studio sull’argomento, video, audio, siti web, presentazioni per agevolare un apprendimento interattivo, asincrono e personalizzato
- FASE RIFLESSIVA A CASA: gli studenti riflettono su ciò che hanno imparato nelle fasi precedenti scrivendo un testo, un blog, registrandosi in audio o video per fissare i contenuti appresi
- FASE APPLICATIVA IN AULA: le conoscenze acquisite vengono applicate materialmente tramite l’esercitazione o la creazione di un prodotto personalizzato che contribuisca a dare un senso ai contenuti studiati e a farli propri
Il valore aggiunto, rispetto al sistema di insegnamento/apprendimento tradizionale, sta soprattutto nell’ultima fase. Qui l’insegnante, risparmiati i tempi della spiegazione, può reinvestirli per rafforzare le conoscenze dei suoi alunni, per guidarli ad un apprendimento significativo tramite l’applicazione pratica e la realizzazione di progetti personalizzati. Inoltre, apprendere sincronicamente con i propri compagni risulta per gli alunni più motivante e incrementa la possibilità di ricevere feedback di controllo e di rinforzo, praticamente inesistenti quando ci si esercita a casa da soli.
Il modello qui esposto è, naturalmente, di carattere generale. Si consideri che l’idea della flipped classroom nasce negli Stati Uniti in ambiente universitario. Indispensabile, quindi, una personalizzazione in base al contesto: la materia (alcune si prestano meglio di altre ad essere “flippate”), l’ordine e il grado di scuola, le caratteristiche della classe (compresi gli spazi), le competenze digitali dei docenti e la dotazione tecnologica a disposizione degli alunni (sia a scuola che a casa).
Si tratta di un progetto ambizioso ma non impossibile da realizzare, pur con i limitati mezzi della scuola italiana. Tra le difficoltà ipotizzabili quella della selezione e preparazione dei materiali che il docente invia alla classe. Molte risorse si trovano già belle e pronte in Internet, altre si possono creare – e condividere con altri docenti – impiegando pressapoco gli stessi tempi di preparazione di una normale lezione cattedratica.
Ulteriore obiezione: in tal modo i ragazzi trascurerebbero del tutto libri e quaderni! Falso, perché la flipped, pur prediligendo i mezzi digitali, funziona anche col cartaceo.
Per chi sta pensando di flippare la propria classe il prossimo anno scolastico, ecco alcuni link davvero utili:
- ADI – Capovolgere il lavoro in classe
- Giovanni Buonaiuti – Flipping the classroom
- 10 ragioni per capovolgere l’insegnamento
Provarci potrebbe rivelare delle belle sorprese, molto dipende dalla convinzione e dall’entusiasmo che ci si mette. I ragazzi lo avvertono e si fanno contagiare!
Hanno lasciato un commento interessante qui
http://friendfeed.com/lalui/aeddc340/flipped-classroom-il-modello-pedagogico-nel
“Nel liceo dove ho fatto il presidente di commissione di maturità (liceo Gioia di Piacenza) l’anno prossimo partirà una classe denominata “classe 3.0” e impostata tutta secondo il modello della flipped classroom.” Sarebbe interessante intervistarli a fine anno.
Mi sto documentando e conto di applicare il tutto l’anno prossimo in almeno una delle classi che avrò (liceo classico)…
Vorrei provarci anch’io. Ho fatto delle prove su singole attività… ma fare tutta la programmazione così richiede una certa padronanza della metodologia. Non so se sono pronto ancora. Devo studiare bene la cosa. Chiara mi farà da faro. 🙂
Mi sfugge una cosa: come vengono valutati gli studenti?
I classici sistemi di valutazione (verifica, interrogazione) si conciliano comunque con la flipped classroom. In alternativa si può pensare ad una valutazione più “sfaccettata”, somma di più elementi: l’osservazione del lavoro dei ragazzi (processo), il risultato concreto delle attività svolte (prodotto), la presentazione dello stesso dentro e fuori dalla classe (abilità comunicative), competenze relative al team working, peer evaluation (i ragazzi si valutano tra loro in relazione al ruolo svolto nel gruppo, all’impegno e ai risultati ottenuti). Credo che in questo modo la valutazione, proprio perché più articolata, risulti più completa e obiettiva.
…ecco, anche io il prossimo anno avrò una classe (prima media) detta 2.0…non è esclusivamente flipped classroom ma sarà incentrata sull’uso del tablet e quindi delle IT e dovremo seguire il progetto per tutto il triennio. Insegno inglese. Sono affascinata e spaventata al tempo stesso…Qualcuno ha consigli operativi o materiali già strutturati da cui poter partire?
Thanks!!!
pensate potrebbe essere un modello applicabile anche alla scuola primaria? grazie
Non insegno alla primaria ma credo che il modello flipped possa essere applicato agevolmente alle classi quarte e quinte, magari con la collaborazione dei genitori.