
All’interno del Wired Next Fest, tenutosi a Milano tra fine maggio e inizio giugno, si è parlato anche di gender gap. La scienza è una cosa da ragazze? La risposta sembra essere affermativa, anche se ai blocchi di partenza ci presentiamo puntuali, ma durante la corsa perdiamo terreno e non riusciamo quasi mai a tagliare il traguardo per prime.
Alice Proverbio, neuroscienziata cognitiva e professore associato presso l’Università di Milano Bicocca, partendo da uno studio pubblicato dalla rivista Nature ha mostrato come negli ultimi decenni le donne abbiano fatto grandi passi avanti nel campo della scienza, ma molto rimanga ancora da fare in termini di differenze di stipendio e di accesso ai finanziamenti della ricerca.
Quali sono le motivazioni alla base di queste disparità?
In realtà le premesse sarebbero confortanti; le giovani donne dimostrano un grande interesse nei confronti della scienza. In Italia, la percentuale di ragazze che si iscrivono e vincono un dottorato di ricerca è del 52% rispetto a un 48% di ragazzi, dato che ci pone in un’ottima posizione, anche rispetto ad altri paesi europei che investono molto più del nostro in questo settore.
Fino alla fase immediatamente post-universitaria quindi tutto bene. Ma cosa succede dopo?
Inizia a crearsi un divario, che diventa sempre più ampio con l’avanzare della carriera.
Tra i professori ordinari, grado ultimo di carriera dello scienziato in ambito accademico, in Europa solo 1 su 10 è donna; se guardiamo il dato relativo ai rettori, in Italia solo 6% è donna.
Le ragioni di questo gap sono da attribuire sia a fattori interni che esterni.
Assistiamo da un lato a un fenomeno di abbandono della carriera accademica da parte delle giovani donne, che decidono di non proseguire la propria attività di ricerca, soprattutto a livello di post dottorato (ovvero tra i 30 e i 35 anni), perché nel momento in cui decidono di crearsi una famiglia percepiscono la mancanza di una rete di supporto sociale.
Esistono dall’altro lato ragioni legate a fattori esterni, che influenzano la percezione della donna. Diversi studi dimostrano come, per il solo fatto di essere una donna, uno scienziato venga percepito come meno autorevole. Uno stesso articolo scientifico viene considerato più attendibile se reca in calce la firma di un uomo rispetto a quella di una donna, e i curricula tendono a essere valutati secondo lo stesso criterio.
Questo pregiudizio non risiede solo nella mente degli uomini, ma può influenzare anche il giudizio che la donna ha di sé, portandola a sottovalutarsi e ad autolimitare le sue aspirazioni.
Le differenze di genere si rispecchiano anche nella scelta della disciplina scientifica.
Le donne italiane preferiscono occuparsi di discipline nell’ambito delle scienze biologiche, e in modo molto minore di informatica, ingegneria e matematica.
Sorge spontanea una domanda:perché la donna e l’uomo non sono considerati ugualmente bravi scienziati? Il cervello dell’uomo e della donna sono uguali?
Ovviamente esistono differenze anatomiche macroscopiche, ma ciò che li differenzia in maniera più significativa ha a che fare con la sfera della cognizione sociale, ovvero con la capacità di comunicare ed entrare in relazione con gli altri, con l’empatia e la capacità di comprendere le emozioni.
La donna è più emotiva e più empatica, il suo cervello risponde più velocemente rispetto a quello dell’uomo allo stato emotivo di una persona, partendo dalla lettura dell’espressione facciale.
Siamo più sensibili alle scene che contengono esseri animati, mentre l’interesse dell’uomo per la tecnologia sembra essere motivato in parte dalla sua inferiore empatia. Può risultare indicativo un confronto tra le riviste destinate a un pubblico femminile – piene di facce e di corpi, e in cui si raccontano storie di persone – e quelle destinate a un target maschile – che mostrano al contrario oggetti inanimati, che possono servire a migliorare il proprio status.
Si tratta di una differenza culturale o biologica?
È stato osservato come in natura mamme di specie diverse da quella umana compiano gli stessi identici gesti nei confronti dei loro piccoli, quindi si tende ad optare per la seconda opzione.
Perché la scienza dovrebbe avere bisogno delle donne?
Come conseguenza delle differenze esposte in precedenza, l’uomo e la donna hanno due tipi diversi di leadership. L’uomo è più risoluto, deciso e competitivo, è maggiormente interessato al potere personale e tende a sopravvalutarsi. Al contrario la donna tende a sottovalutarsi, ma è giudicata più onesta, intelligente, compassionevole, creativa e più consapevole emotivamente. Altri studi dimostrano che la morale maschile ragiona in termini di convenienza pragmatica, mentre l’obiettivo di quella femminile è di non infliggere sofferenza a nessuno.
Direi che le motivazioni siano sufficienti e che sia giunta decisamente l’ora ristabilire un po’ di equilibrio anche ai livelli più alti.