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“Se questi muri potessero parlare” è quello che mi è capitato spesso di pensare in questi giorni visitando Berlino e costeggiando il tratto in cui per 28 lunghi anni un muro ha diviso in due la città. Quante storie avrebbe da raccontarci!

Ognuno di noi ha i propri luoghi del cuore, il proprio posto delle fragole, spazi in cui si annidano ricordi, emozioni e racconti.

In Piazza Baracca mi sono persa nell’autunno 1987, appena arrivata a Milano da Taranto, e se ci passo vado in confusione ancora. In Largo La Foppa c’è una pozza enorme di vita universitaria, asciugata e riassorbita, ché adesso il Radetzky mi piace solo a metà mattinata a colazione e gravito più verso la libreria Utopia che verso la discoteca Lizard (now Cube). Però la me-stessa-del-1989 è ancora lì che compra il pane caldo appena sfornato e lo mangia per strada chiacchierando con Eugenia, verso casa, poco dopo Moscatelli.

Da queste “pozze” parte Pleens, un progetto italiano (attualmente in alfa e con funzionalità ridotte) nato da un’idea di Filippo Pretolani e Mafe De Baggis con la collaborazione di Giorgia Lupi, Gabriele Rossi, Paolo Faustini, Alessio Bragadini.

“Where places tell stories” recita la tagline sintetizzando alla perfezione lo scopo di questa piattaforma di mappe emotive in cui i nostri ricordi vengono associati ad una coordinata geografica.

Facebook e lo stesso Twitter ci hanno abituato alla timeline, una linea temporale in cui è appunto il tempo a scandire l’evolversi della storia. Pleens introduce invece la placeline, ossia una mappa sulla quale muoversi liberamente per seguire i racconti delle persone a noi vicine (per relazione o per prossimità geografica). Non c’è quindi un inizio ed una fine, un qui e ora ma un “qui e per sempre”.

Foursquare e gli altri social network legati alla geolocalizzazione ci hanno resi schiavi dei check-in “sterili” nei quali è più importante mostrare il dove ci si trova più del che cosa si sta provando in quel luogo. Pleens sposta la geolocalizzazione sul piano delle emozioni, sul ricordo legato ad un determinato posto invitandoci a condividere i nostri dati in modo emozionale (il love-in).

E se di luoghi del cuore si parla, cosa meglio di un cuore può segnalare la posizione geografica di un luogo in cui si celano ricordi ed emozioni?
I cuori a disposizione sono una decina e possono essere dedicati a qualcuno e pubblicati su Twitter e Facebook, oppure inviati via mail.

Il c’era una volta può essere un bacio, una storia finita, un incontro mancato. Il risultato è una mappa tempestata di cuoricini rossi (spezzati, ammaccati, trafitti) dalla quale si dipanano, seguendo le dinamiche dello storytelling collaborativo, un’infinita di storie differenti di cui tu stesso decidi la direzione.

Io un po’ di luoghi in cui il cuore ce l’ho lasciato li ho… e voi? 🙂

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