data (scrabble)  - Foto di justgrimes

data (scrabble) – Foto di justgrimes

Quando un numero dice più di mille parole. Questo potrebbe essere lo slogan che contraddistingue il data journalism, ovvero un modo di raccontare il mondo a cavallo tra ricerca e inchiesta facendo largo uso di database, mappe digitali e software per analizzare e visualizzare un fenomeno.

Il progetto DataJcrew, vincitore per la sezione press del premio DonnaèWeb di quest’anno, nasce con lo scopo di  mettere insieme giovani blogger che hanno così l’opportunità di imparare a selezionare contenuti dall’estero presenti solo sul web, valorizzarne il lavoro alla fonte, riportando inchieste interessanti e veicolando le informazioni sui social network. L’idea è nata da Rosa Maria Di Natale che, dopo un’esperienza di insegnamento universitario in giornalismo e nuovi media, ha voluto mantere in vita quello che attualmente è un “laboratorio virtuale” ma che è destinato a diventare un progetto editoriale vero e proprio. Le abbiamo fatto qualche domanda per capire meglio cosa significa fare giornalismo di precisione.

DataJCrew ha come missione quella di cercare e tradurre le inchieste di precisione. Dando un’occhiata alle notizie pubblicate sembra che queste risiedano più all’estero che in Italia. E’ vero? E perché secondo voi?

Il Data journalism, il giornalismo dei numeri o giornalismo di precisione, è già realtà in alcune importanti redazioni di caratura mondiale (in testa, il Guardian ma c’è anche il New York Times o Le Monde). Le nuove competenze in ballo sono: capacità di raccogliere, selezionare e rileggere i dati, soprattutto quelli inediti, tramite, ad esempio,  lo scraping. I numeri vanno poi filtrati e trasformati in notizie, tramite un operoso lavoro con i fogli di calcolo. L’imperativo è coinvolgere il “basso” attivando dunque i cittadini e lo spirito del cosiddetto giornalismo citizen o collaborativo, e poi abituarsi a raccontare le notizie attraverso la visualizzazioni (si tratta di speciali software o applicazioni) dei dati stessi. Questo richiede nuove abilità professionali. Quella del “Data journalist” è a tutti gli effetti una nuova professione in procinto di nascere anche in Italia, come si può dedurre dalle nuove, prestigiose scuole legate alle università e alle fondazioni nate da pochissimi anni a questa parte. Per adesso l’estero è in vantaggio, ma è solo questione di tempo.

dinataleNel blog si legge che vi autofinanziate. Quali sono le difficoltà maggiori che incontrate?

Poche se consideriamo il lavoro di blogger, molte se guardiamo al nostro primo esperimento che si chiama “Waterboxsicilia”. Stiamo per concludere un’inchiesta multimediale sull’acqua in Sicilia che pubblicheremo on line; in essa c’è anche una componente “data”, ma soprattutto, si tratta di spostarsi in giro per la Sicilia, intervistare persone, verificare notizie, fotografare. Tutto ciò implica tempo, telefonate, benzina. E i soldi, per ora, non li abbiamo. Non è escluso che per il futuro punteremo al crowdfounding. Ma quello che oggi è più importante è coinvolgere i cittadini, fare in modo che siano loro a segnalarci disservizi o novità di qualunque tipo.

Nessuna sede fisica, nessuna scrivania, nessun supporto cartaceo per Data Journalism Crew. Come gestite il vostro blog multiautore? Quali gli strumenti indispensabili?

La redazione virtuale è composta da giovani bloggers ed è dislocata fra Catania, Ragusa, Venezia, Londra e Birmingham. Il miracolo è reso possibile grazie a Google Plus che ci permette di fare riunioni di redazione via web, ad un forum di lavoro su Yahoo, e ad una piattaforma di condivisione documenti come Google Drive. Singolarmente, tra di noi, comunichiamo moltissimo su What’s app. Confesso che all’inizio non è stato facile, ma una volta abituati ci è sembrata la cosa più naturale di questo mondo.  Naturalmente, quando siamo tutti a casa cerchiamo di ritrovarci anche fisicamente, tutti insieme. Ma quasi mai per lavoro. C’è solo la voglia di chiacchierare e cenare insieme…

Siete riusciti a pubblicare notizie con inchieste riferite a piccole realtà locali italiane? Pensate che potrebbero interessare chi vi legge?

Inchieste “data” pubblicate da piccole testate locali no, non siamo riuscite a scovarle. Forse perché sono davvero poche e difficili da rintracciare. Se interesserebbero? Credo proprio di sì.

Qual è stata l’inchiesta più interessante che avete presentato? E quella che vorreste presentare ma che ritenete difficile da realizzare?

Difficile dirlo. Moltissimi dei lavori che abbiamo presentato sono davvero lodevoli. Ci ha colpito molto il lavoro di Le Monde sui salari degli insegnanti europei messi a confronto, ma anche quello de Linkiesta sui comuni italiani commissariati o il lavoro edito da Good su chi pagava per il candidato alla presidenza degli Stati Uniti.

In un mare di notizie piene di soli commenti e interviste cucinate in salse diverse ma il cui sapore risulta spesso insipido, il giornalismo basato sui numeri è probabilmente quello maggiormente apprezzato. Purché i numeri ci siano, chiaramente. Ed è per questo che il data journalism non può prescindere dalla diffusione degli open data. Liberando i dati, anche grezzi, non c’è solo trasparenza ma anche informazione. Perchè i  numeri sono notizie, come ricorda lo spot di DataJCrew.