
Da qualche tempo, e in particolare da quando si è sparsa la voce che Obama ha vinto anche grazie a Twitter, molti politici italiani sono migrati verso questo nuovo lido, con la speranza di trovare un clima favorevole per poter raggiungere facilmente gli elettori.
Il fenomeno della migrazione a questo social network è ben spiegato nel libro Openpolitica. Il discorso dei politici italiani nell’era di Twitter (Franco Angeli editore, prezzo di copertina 25 euro), scritto dalla ricercatrice Stefania Spina.
Il saggio, nelle sue 196 pagine, partendo dalla descrizione del panorama politico all’epoca della televisione, esamina la presenza dei politici sul social network per arrivare ad un’analisi linguistica realizzata su un campione di cinguettii di 40 politici italiani.
“In un periodo di forte distacco dei cittadini dalla politica – afferma l’autrice – Twitter rappresenta un’opportunità per realizzare forme di comunicazione dialogiche e orizzontali, che potrebbero favorire un riavvicinamento dei cittadini alla politica.Accanto ai politici che non sembrano capirlo, e che continuano a trasferire in Twitter modalità comunicative tradizionali, monologiche e verticali, ce ne sono tanti altri, magari più giovani e meno in vista, che invece si sforzano di modificare il proprio rapporto con i cittadini, anche attraverso l’uso di Twitter. La speranza è che questa opportunità di cambiamento non venga sprecata”.
Abbiamo chiesto a Stefania Spina di rispondere a qualche domanda per avere un assaggio di questo interessante lavoro.
Anche alla luce di quest’ultima campagna elettorale, quali sono secondo te gli errori più frequenti dei politici su Twitter? Quali invece i “comportamenti da imitare”?
L’errore più frequente è quello di usare Twitter solo come un amplificatore di brevi comunicati-stampa, mentre Twitter è un mezzo di comunicazione finalizzato anche al dialogo. Un’occasione persa per dialogare con i cittadini e per realizzare forme di comunicazione orizzontali, diverse da quelle dei media tradizionali.
Rispetto a quando il libro è stato scritto, cosa è cambiato?
Molti altri politici usano Twitter, e Twitter è sempre più presente sui media tradizionali. Usarlo solo come rimbalzo per far parlare di sé la tv e i giornali però è un peccato.
I politici si trovano spesso a delegare la cura dell’account Twitter. Cosa ne pensi?
Penso che è in parte fisiologico se si vuole dare una risposta almeno a parte delle tante domande che i politici ricevono (non potrebbero rispondere a tutte da soli). I tweet dello staff dovrebbero però sempre essere resi riconoscibili (alcuni lo fanno), e ogni politico dovrebbe comunque riservarsi uno spazio in cui è lui a rispondere in prima persona, per portare nelle interazioni i propri tratti personali (identità, stile, emozioni), che sono elementi indispensabili nella comunicazione.
Quando ha senso per un politico dare vita ad un hashtag?
Quando cerca di raccogliere attorno a un valore comune (l’hashtag) una comunità di persone. L’hashtag è un invito a condividere un tema e a unire la propria voce a quella degli altri per discutere su quel tema, che è spesso un tema di forte attualità e di impatto emotivo. Proporre un hashtag e riuscire a fargli avere successo non è facile, ma accresce la propria influenza e la propria autorevolezza su Twitter. I politici raramente ci provano, anche se aggregare molta gente intorno a un valore condiviso dovrebbe essere proprio uno degli obiettivi della loro comunicazione.
Fin dalle prime pagine di Openpolitica emerge con chiarezza quanto Twitter potrebbe agevolare, con i suoi “soli” 140 caratteri, la chiarezza dei messaggi politici. Questa la speranza racchiusa anche nella frase di Vittorio Foa: “Una caratteristica dell’irrilevanza dei discorsi di oggi è che l’interlocutore non ha più importanza. La parola è un impegno verso qualcuno, verso qualcosa: quando l’interlocutore non è considerato o non c’è, la parola è nel vento”. Su Twitter gli interlocutori non mancano, pertanto l’invito è di non lasciar volare le parole nel vento.
1 comment