Un percorso che inizia dal design industriale e giunge alla produzione indipendente di videogiochi passando per la più grande realtà di game developer in Italia: Clara Parona ci racconta la sua esperienza e il raggiungimento di una tappa importante, cioè la pubblicazione di Sheep Up! primo titolo per iOS di BadSeed Entertainment, la società che ha co-fondato insieme a Roberto Mangiafico.

Sei una game designer, ma qual è stato il percorso formativo che ti ha fatto approdare al settore videoludico?

Mi sono laureata in Design al Politecnico di Milano: ho iniziato progettando lampade, sedute e piccoli utensili da cucina (cose dell’altro mondo) per poi concludere il percorso universitario con un progetto di tesi a carattere videoludico.

Ho cominciato la mia gavetta lavorando come interaction designer presso un laboratorio creativo, spin-off dell’Interaction Design Institute d’Ivrea e poi quasi 5 anni fa sono approdata in Ubisoft.

Prima di fondare BadSeed Entertainment hai lavorato per tre anni in Ubisoft, una realtà che continua a mantenere una sede italiana anche per la produzione (solitamente le multinazionali del gioco relegano al nostro paese solo uffici di marketing e localizzazione). Com’è cambiato il tuo lavoro di game designer ora che sei in una realtà indipendente?

È cambiato molto, soprattutto in termini di libertà creativa. La soddisfazione più appagante è la possibilità di sperimentare cose nuove, cose diverse: adesso gli unici vincoli che incontro durante il processo di progettazione sono dettati dal mio buon senso. Questa è la parte divertente. Il rovescio della medaglia è che il mio ruolo non è più così definito come prima e soprattutto non si limita alla progettazione. È vero che le dimensioni non contano ma cambiano un po’ le cose: sto imparando a seguire anche la direzione creativa e artistica di ogni progetto, a considerare ogni gioco come un prodotto da vendere curandone il marketing e la comunicazione.

Maggio è il mese in cui è prevista l’uscita di Sheep Up!, il vostro primo gioco per iOS. Cosa ci dobbiamo aspettare? 

Un gioco molto semplice che spero vi farà sorridere. Si tratta di un puzzle platform che sfrutta l’accelerometro per il controllo di una piccola pecora giocattolo che rimbalza continuamente. Compito del giocatore è quello di aiutare la pecora a risalire lo scatolone nel quale è stata rinchiusa e riguadagnarsi la libertà. Un solo input, poche regole, una meccanica molto semplice e tanti elementi di gameplay.

Il mercato dell’App Store sembra quasi saturo in questo momento: oltre 100 nuovi giochi vengono pubblicati ogni giorno, si tratta di una bella concorrenza. Avete pensato a una strategia di autopromozione, restando indie, oppure non escludete di cercare un publisher per emergere? 

Abbiamo pensato di affrontarlo proponendo un gioco che non fosse l’ennesimo clone di qualcosa di già visto. Per quanto riguarda la comunicazione, al di là dei comuni canali web social, volevamo puntare maggiormente su operazioni virali in stile videocast.

Sheep Up! è nato un po’ per caso. Quando abbiamo iniziato, ingenuamente volevamo fare un gioco più per il piacere di farlo che per venderlo. Poi col passare dei mesi ci siamo accorti che cresceva e più cresceva più tempo gli dedicavamo, diventando così ufficialmente “il nostro primo gioco”. Quindi per Sheep Up! non c’è stata nessuna operazione di fundraising, ma non la escludiamo per uno dei prossimi progetti.

Alla Game Developer Conference che si è tenuta lo scorso mese a San Francisco si è parlato di emozioni come punto di partenza della progettazione di un gioco, in contrapposizione al game design orientato alle meccaniche.

Sono convinta che in fase di progettazione emozioni e gameplay non siano su fronti contrapposti: un buon gameplay suscita sempre delle emozioni e le emozioni aiutano a progettare interessanti situazioni di gameplay. Per quanto riguarda l’approccio che adotto, il processo creativo non ha regole: a volte è l’emozione la prima a prendere forma, sulla quale poi costruire tutte le meccaniche e gli elementi, a volte invece la prima idea parte da una meccanica pulita, semplice e perfetta che va arricchita e personalizzata per garantire un’esperienza di gioco completa.

Un altro argomento molto discusso è stato il processo di prototipazione rapida, quindi un approccio agile allo sviluppo di giochi contrapposto al cosiddetto modello waterfall in cui prima si progetta nel dettaglio e poi si implementa. Qual è la tua esperienza? 

Fin dall’inizio dello sviluppo, abbiamo sempre adottato il processo di prototipazione rapida. È la risposta a qualsiasi dubbio legato alla progettazione su carta, ma non deve esserne sostitutivo. Il primo prototipo di Sheep Up! è stato realizzato per testare i controlli e ai tempi, se non ricordo male, avevo progettato su carta solo i primi due livelli e definito un paio di elementi di gameplay. Il prototipo è stato di fondamentale importanza per avere la conferma che il tipo di controllo che avevamo in mente in realtà funzionava davvero. Da quel momento in poi, ho iniziato a definire tutti gli elementi di gameplay su carta prima e prototipati poi con iterazioni di circa una settimana.

Una domanda sull’essere start up in Italia. Quali sono le prime difficoltà incontrate da quando avete fondato BadSeed Entertainment?

Sicuramente la mancanza di agevolazioni non aiuta, anche se con la proposta di legge presentata qualche giorno fa sembra muoversi qualcosa, ma la strada è dura come penso per la maggior parte delle aziende italiane, nuove e non.

Fare networking è la cosa che adesso ci preme di più per l’uscita di Sheep Up! e per farci conoscere. È fondamentale per tutte le nuove realtà e per fortuna ci sono eventi come lo Svilupparty che aiutano molto.

Quali sono i 5 strumenti di lavoro di cui non potresti mai fare a meno?

In ordine di priorità: iPhone – internet – matita – carta – un programmatore!

E per quanto riguarda i software?

Google DocsDropboxUnityPhotoshopiTunes.