
È difficile parlare di Jane McGonigal senza sensazionalismi. In pochi anni è diventata uno dei personaggi più influenti dell’industria videoludica, costruendo un visione basata su un singolo ma importante ideale: i giochi possono migliorare il mondo. Attorno a questo concetto, Jane McGonigal ha realizzato giochi, ha tenuto talk, di cui uno anche al TED, e ha scritto anche un libro “La realtà in gioco” (Apogeo, 2011). Il titolo originale del saggio (“Reality is broken”) fa riferimento a una celebra frase di Jane McGonigal: la realtà non funziona, ma i game designer possono sistemarla (una bella responsabilità!). Ma da cosa nasce questa dichiarazione?
Per Jane McGonigal, il gioco è l’attività più produttiva che si possa intraprendere: lo stato mentale che si raggiunge durante l’attività ludica è di grande ottimismo, consapevolezza di poter superare ostacoli anche molto difficili e scarsa paura del fallimento. Attraverso una serie di scambi con lo psicologo Martin Seligman, guru della psicologia positiva, McGonigal ha scoperto che proprio i giochi sono in grado di generare quelle caratteristiche che ci portano a migliorare il nostro stato mentale e a essere più efficienti. Questi elementi, identificati dall’acronimo PERMA (Positive emotions, Engagement, Relationships, Meaning, Accomplishment) sono determinanti non solo per vivere meglio, ma anche per avere un impatto positivo sul mondo che ci circonda. Tanto che lo scorso marzo, alla Game Developer Conference – l’appuntamento più importante a livello internazionale per gli sviluppatori di giochi – Jane McGonigal ha presentato una tavola rotonda centrata sul concetto di design for love, cioè progettare giochi che possano suscitare emozioni positive, in aperto contrasto con il luogo comune che vuole i giochi (e soprattutto i videogame) come artefatti che incitano alla violenza e alle emozioni negative.
Ho conosciuto Jane McGonigal nel 2009 a San Francisco, durante una giornata così calda e soleggiata da terminare con una bella scottatura sulle braccia. In quell’occasione ho seguito da vicino il testing di un suo gioco, CryptoZoo, prodotto dalla American Heart Association (AHA) per motivare le persone a svolgere attività fisica. I tester erano divisi in gruppi, ciascuno dei quali doveva imitare i movimenti di un certo animale di fantasia: correre all’indietro evitando le crepe del marciapiede, procedere facendo sempre un giro intorno ad alberi o pali di segnali stradali, camminare con le gambe piegate ogni volta che si incontra un’auto parcheggiata. Avevo già citato una volta questo gioco, ma non posso proprio evitarlo: immaginate venti-venticinque persone correre in modo folle e scoordinato lungo i marciapiedi di San Francisco, anche là dove le strade sono più in salita, cercando di evitare (o di coinvolgere) i passanti divertiti dalla scena.
CryptoZoo è un gioco urbano, cioè un gioco che ha come piattaforma la struttura fisica cittadina e a cui viene sovrapposto un sistema di regole diverso da quello socialmente condiviso: ecco dunque come le crepe nell’asfalto diventano ostacoli da evitare. Oltre all’effetto immediato di far muovere i partecipanti (in accordo con l’obiettivo della AHA), si raggiunge anche un altro scopo solo apparentemente secondario, cioè la costruzione di una nuova consapevolezza spaziale e sociale all’interno del territorio cittadino che nasce attraverso lo sguardo fuori dagli schemi della routine.
Oggi Jane continua a lavorare nella terra inesplorata dei giochi che ibridano la tecnologia con il mondo fisico. La sua Social Chocolate ha appena pubblicato SuperBetter, social network dedicato all’utilizzo di dinamiche ludiche per vari tipi di attività difficili da portare a termine: diete, routine di recupero da una malattia, riabilitazione. SuperBetter nasce da una brutta avventura passata da Jane in seguito a un incidente domestico. Come lei stessa racconta nel libro: “avevo due scelte, o uccidermi, o trasformare tutto in un gioco”. Indovinate come è andata a finire?