Foto di Webponce

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Abbiamo parlato degli innumerevoli  vantaggi del lavorare da casa, della semplicità nel reperire gli strumenti software utili per poterlo fare e ci sembrava logico guardarci intorno e “contare” il numero delle persone che, in Italia e all’estero, hanno provato questa forma di lavoro.

Ci sembrava anche piuttosto semplice farlo: chiediamo all’Istat, cerchiamo in Rete pubblicazioni statistiche e “geolocalizziamo” i telelavoratori etichettandoli con un numero e una percentuale. E invece scopriamo che se è vero che fin troppo spesso i vantaggi del lavorare da casa sono sbandierati come la vera chiave di svolta e la panacea alla difficoltà di conciliazione lavoro-famiglia delle donne, è altrettanto vero che non esiste un quadro aggiornato in grado di far capire la diffusione del telelavoro in Europa.

Dopo esserci resi conto che in Rete abbondano soprattutto ricerche condotte da aziende private su campioni statistici poco significativi, abbiamo chiesto per l’Italia all’Ente deputato a monitorare molti aspetti della nostra vita, ovvero, l’Istat. Ci rispondono che il telelavoro non è attualmente oggetto di statistica. Il tentativo con il Ministero del Lavoro non è più fortunato, visto che ci invitano a leggere le tavole statistiche pubblicate periodicamente sul portale ma che non arrivano a disaggregare il dato fino alla voce telelavoro.

Siamo costretti, pertanto, a ripiegare sugli ultimi dati disponibili, ovvero quelli risalenti al e diffusi da Eurofound, secondo i quali in Italia sono solo il 3,9% degli occupati a telelavorare (poco più di 700mila persone) contro una media europea dell’8,4%. Prima la Danimarca (16%) seguita da tutti i paesi del Nord Europa che si attestano intorno al 14% e da Regno Unito (9,6%), Germania (8,5%), Spagna (8,4%) e Francia (7%).

Anche prendendo in esame l’utilizzo saltuario del lavoro domiciliare (di chi lavora a distanza per almeno otto ore al mese) l’Italia conquista la maglia nera attestandosi quasi in fondo alla lista dei Paesi europei. Molto diversa la situazione negli Stati Uniti dove esiste una cultura ben più radicata del lavoro a distanza che rappresentava nel 2007 già il 16,5% della forza lavoro (quasi 22 milioni i teleworkers per almeno un giorno alla settimana).

Riguardo la tipologia del telelavoratore europeo dai dati emerge che questo è uomo, solitamente con un lavoro qualificato (in prevalenza di tipo tecnico) mentre quello americano è ancora uomo, 49enne, laureato e con mansioni non dirigenziali. Nell’anno in cui i dati sono stati rilevati si legge una previsione di crescita esponenziale del telelavoro entro il 2011. Crescita (o decrescita, chissà) per la quale non c’è stato alcun interesse di rilevazione.

Come non ci sono state forme di incentivazione al lavoro remoto (almeno in Italia) se non attraverso progetti sperimentali – attuati soprattutto nelle Pubbliche Amministrazioni – che rischiano di trasformare i rari telelavoratori in “oggetti da teca del museo del lavoro innovativo”. Peccato, perché sui vantaggi del telelavoro non mancano certo analisi dettagliate e numericamente misurate.