
Valentina Paggiarin ha saputo unire passione e lavoro diventando una delle più note women in games in Italia. Un percorso accademico che unisce game studies e letterature comparate e che sfocia in una carriera di traduttrice di videogiochi e di storyteller. Per conoscerla meglio, abbiamo posto qualche domanda a Valentina Paggiarin (qui il suo blog, AlchemicoBlu).
Puoi raccontarci il tuo percorso e in che modo sei arrivata nel mondo dei videogiochi?
Ho cominciato a giocare da bambina, a 5 anni, prima con lo Spectrum (e il sostanziale aiuto di mio padre), poi a 6 anni con il NES (Nintendo Entertainment System). Quello è stato l’inizio della fine: complice il fatto che i miei genitori non hanno mai osteggiato questa mia passione (mio padre è a sua volta un videogiocatore), sono stata una bambina “anomala” e ho avuto tutti i videogiochi che desideravo. Non male. Anche se nasco come “nintendara” e conservo tuttora memorie deliziose del NES e di infinite partite a Super Mario Bros. 3, sono presto passata a giochi su PC (avventure grafiche, picchiaduro, first person shooter… memorabile è stata la settimana in cui io e mia sorella abbiamo creato una LAN in casa per giocare ad Half Life una contro l’altra, dalle nostre due camere) e poi – da “grande” – a console come SuperNintendo, PlayStation, PlayStation 2, fino ad arrivare oggi, a 30 anni, a possedere PS3, Xbox360, Wii, Nintendo DS e a giocare in gran segreto anche ad alcuni web games.
Nel mentre, non soddisfatta di dedicare ai videogiochi il mio tempo libero, in università ho deciso di lavorare su una tesi che unisse le mie più grandi passioni: la narrazione e i videogame. Nell’annoso dibattito tra narratologi e ludologi di qualche tempo fa, e sul ruolo della narrazione e del design nei videogame, io mi schiero in una posizione intermedia, in cui penso piuttosto che la narrazione si adatti (quasi “evoluzionisticamente”) all’interattività. Per approfondire questa mia convinzione, ho portato a termine anche un dottorato in letterature comparate, con una tesi proprio sull’adattamento narrativo nel genere fantastico (il mio preferito, peraltro). Adesso lavoro come traduttrice di videogiochi e, ovviamente, continuo a giocare con assiduità, anche se sono diventata estremamente selettiva e aspetto che escano i pochi giochi che davvero mi ispirano/interessano. Videogiocare è come andare in bicicletta: una volta che impari, lo fai per tutta la vita. D’altra parte, perché smettere?
Dal 2006 al 2009 hai gestito il gruppo GamesLab destinato agli studi accademici riguardanti il mondo dei giochi. Ti occupavi solo dei contenuti o facevi anche la community manager?
Il GamesLab è nato a margine del mio percorso di dottorato di ricerca allo IULM, in letterature comparate (con una tesi sull’evoluzione del modo narrativo fantastico – fantascienza, fiaba, racconto dell’orrore) dalla narrazione tradizionale ai videogame. Mentre lavoravo alla mia tesi, mi sono accorta che in università c’era interesse e fermento sull’argomento dei videogiochi in generale. Su “ispirazione” di Matteo Bittanti, che allora già si era trasferito negli States, ho pensato, con l’aiuto dell’indispensabile Claudio Ortolina, di avviare un piccolo laboratorio pratico, che diventasse un punto di riferimento per chi voleva approfondire lo studio di questo medium.
Molti ragazzi hanno partecipato: ognuno di loro arrivava al GamesLab portando i propri interessi e il proprio percorso di studi. Insieme capivamo cosa era più interessante approfondire e procedevamo alla redazione di piccoli saggi, di articoli e, in generale, discutevamo molto per trovare dei riscontri pratici alla teoria in cui eravamo incappati durante i nostri percorsi di studio. È stata un’esperienza gratificante e che mi ha insegnato moltissimo. Facevo sì da community manager, ma è stato facile: i ragazzi erano dei pozzi di idee ed è stato tutto molto stimolante. Molti di loro, peraltro, sono riusciti a trovare stage o lavori in compagnie legate al mondo dei videogiochi (testing, pubblicità, distrubuzione…). Insomma, per me il GamesLab è stata una vera soddisfazione!
Raccontaci il nuovo progetto G|A|M|E la rivista accademica sui game studies di prossima uscita e a cui anche tu contribuirai.
Anche se a volte in Italia siamo un po’ in ritardo in certi settori, per fortuna ci sono sempre buone iniziative “distribuite” per svecchiare un po’ il panorama accademico. In questo caso, un gruppo di ricercatori di varie università italiane si sono riuniti e hanno dato vita a questa rivista accademica di game studies, che darà presto alla luce il primo numero. L’aspetto interessante della rivista sarà la sua prospettiva a 360 gradi, grazie al coinvolgimento di studiosi con formazioni e percorsi molto diversi. Non solo: G|A|M|E è una rivista italiana, ma vanta la collaborazione anche di brillanti, nonché noti, accademici stranieri. Insomma, è un’impresa decisamente degna di nota e significativa, portata avanti con metodica passione da chi continua a credere che i videogiochi meritino uno sguardo critico intelligente e siano sì intrattenimento, ma anche comunicazione e arte.
Cosa ne pensi del futuro (ma anche del presente) della narrazione? Qual è la tecnologia (software o hardware) che ha più cambiato la narrazione moderna?
La narrazione, le storie, sono delle “entità” meravigliose. Sono immortali perché si sanno adattare ed evolvere per seguire i nuovi strumenti e i nuovi canali in grado di veicolarle. Quello che trovo “confortante” è che il futuro della narrazione (e anche il suo presente) vede emergere sempre i “memi” più significativi, e gli archetipi del passato tornano con i nuovi linguaggi. Quindi, penso che la narrazione se la caverà sempre, magari dovremo essere in grado di riconoscerla e valorizzarla, nei vari media e canali di comunicazione in cui si “insedierà”, ma sono sicura che sarà sempre un elemento fondamentale dell’intrattenimento e di quello che definiamo arte e cultura (e non solo).
Tra tutte le tecnologie, banalmente credo che quelle che supportano l’aspetto video siano sicuramente privilegiati (il cinema, i videogiochi), ma comincio anche un po’ a riflettere sulla multi-sensorialità della narrazione. E mi vengono in mente esperimenti fatti su iPod in cui si uniscono storie a immagini a musica. O situazioni e mostre in cui l’esplorazione e il coinvolgimento sensoriale e in prima persona del fruitore diventano l’elemento che dà davvero vita all’opera d’arte. Insomma, penso che sarà stimolante portare la narrazione “nella vita reale”. Come gli ARG? No, diversamente. Con gli smartphone? Forse. Sinceramente, mi piacerebbe “inventare” qualcosa e sperimentare un po’…
Quali sono i tre giochi che più ti hanno colpito nell’ultimo anno?
- Alan Wake: pop ma molto godibile, sopratutto per chi ama le storie e la scrittura
- Professor Layton and the Unwound Future: romantico, commovente e brillante come sempre
- Alice: Madness Returns, invece, che attendevo con trepidazione, è stato decisamente una delusione! Si combatte troppo, è tutto così “squadrato”, la grafica mi ha deluso molto e anche il gameplay è noioso… Peccato.
Cosa ne pensi dei titoli per iOS o Android? Hai trovato qualche sperimentazione interessante dal punto di vista dello storytelling?
A dire la verità non sono molto aggiornata sui titoli per iPhone e iPad. Ho scoperto di recente un’interessante applicazione basata sul film Inception, che unisce la musica a un percorso narrativo un po’ surreale. Mi incuriosiscono molto di più le applicazioni di realtà aumentata, invece… Non sono limitate alle piattaforme Apple e, se sono ideate in modo intelligente, possono veramente aiutare a vedere la realtà con occhi nuovi. O fornire spunti per avventure “urbane”, alla ricerca di storie nascoste qua e là.
Da “vecchia” geek un saluto a voi tutte e ancora complimenti per i contenuti. Ho scelto l’articolo videogiochi-e-narrazione-intervista-a-valentina-paggiarin, per condividerlo e linkarlo sul nuovissimo e-zine “STYLE STORIES” di donneconlavaligia,
ciao e buon lavoro!