ph. di Caramellamenta

Ho potuto assistere al brainstorming finale del progetto Wepadproject: sei professionisti, Roberto Venturini; la nostra Emma Tracanella; Mafe de Baggis; Gigi Beltrame; Filippo Magri e Stefano Andreani, si sono riuniti per sei settimane – supportati da una community online – con lo scopo di progettare un’applicazione gratuita che avesse un’utilità universale. Un progetto ambizioso: proviamo a verificare se ci si è avvicinati all’obiettivo e in che modo.

Ripercorrendo a ritroso il lavoro fatto, sul piatto delle idee sono state messe molte suggestioni e molte possibilità: ma su tutte, come spesso accade nel lavoro di un team, sopravvive l’idea più funzionale, utile e aperta; non necessariamente quella più condivisa ma senz’altro quella più applicabile alla quotidianità (potete ascoltarne la sintesi qui).

In sostanza, si tratta di un’applicazione “maggiordomo” che dovrebbe darci la sveglia, indicarci gli impegni della giornata, ricordarci le scadenze e oltre ai nostri doveri quotidiani, ricordarci anche i momenti ludici per prenderci una pausa da tutta una serie di incombenze perché, pensiamoci, molto spesso siamo talmente presi dalle cose che dobbiamo fare che dimentichiamo la vitale e necessaria parte di relax.

Da un punto di vista filosofico tutto questo appare senz’altro utile: delegare a qualcosa oltre alla nostra memoria, la segnalazione dei nostri impegni è quasi liberatorio; possiamo scaricare la nostra personale cache quando vogliamo. Il rischio è che si diventi, in qualche maniera, dipendenti da un oggetto. L’obiezione naturale che è emersa dalla discussione infatti è che questo “maggiordomo” diventi invadente e preponderante.

Non è certamente un elemento trascurabile: di fatto sulla carta risulta tutto molto appetibile ma nel momento in cui si vive un’esperienza del genere come invasiva, sorgono alcuni problemi di gestione. Ci sarà da prevedere anche una sorta di modalità. Ci saranno persone che gradiranno l’autorità e persone che invece avranno bisogno di non percepire la “presenza” del “maggiordomo”, è necessario tenere conto di tale differenza di approccio.

Un altro aspetto assolutamente affascinante per chi mastica un minimo di letteratura sul rapporto uomo/macchina è la traduzione di un’idea in codice. L’elaborazione delle idee in questo caso specifico dovranno essere legate a un altro genere di interpretazione. Dal semplice pensiero “ricordami l’appuntamento col dentista” alla realizzazione di un tool che ti consenta una brevissima operazione per farlo, il tutto inserito in un disegno più grande dove il “maggiordomo” possa prevedere più azioni contemporaneamente e nel modo più scorrevole, razionale e veloce.

L’applicazione scelta in questo caso, appare relativamente lineare usando l’approccio descrittivo ma è formata da talmente tante strade, percorsi e sentieri che diventa assolutamente necessario conoscerle tutte per riportare ogni operazione alla sua natura di utilità, semplicità e facilità d’uso.

Credo sia per questo motivo che le varie professionalità messe in campo abbiano potuto realizzare e portare a termine un’idea condivisa: proprio per la pluralità dei punti di vista così diversi, persino in antitesi tra loro ma tutti tesi a trovare una soluzione, individuando punti deboli e punti forti della progettazione. In questo modo sarà possibile in corso d’opera aggiustare il tiro e arrivare al risultato.

Ora toccherà agli sviluppatori occuparsi dell’applicazione. Sarebbe interessante continuare l’esperimento monitorando  il naturale percorso delle idee mentre diventano codici poi interfaccia grafica e poi l’applicazione stessa.

Non ci resta che sperimentare il risultato finale quando sarà pronto e poter “toccare con mano” la concretezza del progetto diventato finalmente, applicazione a 360 gradi.