
La game designer Jane McGonigal pubblica un libro su come i giochi possono cambiare il mondo in meglio. Ma qual è il ruolo delle donne nell’industria?
C’è qualcosa di corrotto nella realtà che ci circonda. Quella fatta di atomi e di spigoli. Ma c’è una figura che può intervenire e cercare di aggiustare il funzionamento di questo mondo.
Jane McGonigal. Il game designer e la sfida per cambiare il mondo, in meglio
La professione del game designer, ovvero chi progetta i giochi, sembra avere le carte in regola per intraprendere questa sfida sociale e morale. A sostenere questa tesi – solo apparentemente sull’onda post-hippie, ma in realtà ben fondata su esperienze concrete – è Jane McGonigal, game designer innanzitutto, ma anche grande pensatrice che ha applicato meccaniche di gioco a problematiche importanti. E allora ecco CryptoZoo, il gioco nato in collaborazione con l’American Heart Association al fine di modificare positivamente una cattiva abitudine come la scarsa propensione all’attività fisica. O ancora il gioco come mezzo per formare i giovani, come nel caso di Evoke, specificamente creato per dare strumenti e competenze ai ragazzi delle realtà sub-sahariane che cercano di costruire una strada anche a livello professionale.
Le teorie – e i giochi – di Jane McGonigal sono la diretta conseguenza del lavoro che ha portato avanti negli ultimi dieci anni. Fondamentale è stato il suo contributo agli Alternate Reality Game (Arg), giochi che usano il mondo reale come piattaforma, andando oltre lo schermo del computer, magari rispondendo via sms o a una telefonata, oppure che richiedono azioni nel mondo, come incontri in città, prove fisiche da superare o rompicapi da risolvere. Proprio per questo lavoro pionieristico, nel 2006 Jane McGonigal è stata inserita nella classifica dei giovani innovatori redatta dalla rivista Technology Review, voce ufficiale del Massachusetts Institute of Technology. Un riconoscimento che sottolinea l’importanza del suo lavoro di creatrice di esperienze immersive e ludiche atte a modificare i comportamenti delle persone.
Questo incipit dedicato a Jane McGonigal e al suo ultimo libro (Reality Is Broken, Penguin Press HC, 2011) è come una piccola lente d’ingrandimento su una personalità importante nel settore del game development. Ma Jane non è la sola donna nel game development.
Robin Hunicke. Game producer con una nuova visione di gioco
Robin Hunicke ha partecipato alla stesura del modello Model-Driven Architecture (Mda), il primo paper che ha definito formalmente l’approccio del game designer in fase di creazione del gioco. Il suo contributo non si è fermato al livello accademico, ma ha avuto esperienze prima di game designer e poi di producer (l’equivalente del project manager). Proprio nella sua più recente esperienza, il videogioco di prossima uscita Journey , Robin Hunicke ha portato una nuova visione di gioco, centrata su una ricerca che è soprattutto interiore. Una scelta coraggiosa che, fino a qualche anno fa, poteva sembrare folle e fuori mercato. Oggi, non esiste più un mercato (sia per fruitori, sia per produttori) di videogiochi: esistono i mercati e sono molteplici. L’industria – o meglio – le industrie hanno la possibilità di sperimentare e di creare valore.
Da un lato, è crollato il mito del videogiocatore maschio e adolescente, aprendo il settore a differenti pubblici, tra cui quello sempre più numeroso delle donne. Dall’altro lato, le proposte classiche e preconfezionate dei titoli presenti sugli scaffali dei negozi hanno subito una crisi perché non incontravano più il gusto diffuso.
Rhianna Pratchett. Storyteller di nuove protagoniste femminili, con personalità
Anche i publisher più grandi come Eletronic Arts hanno iniziato ad assegnare ruoli importanti anche alle donne del settore, come nel caso di Rhianna Pratchett, ex giornalista e ora storyteller che ha dato vita all’impianto narrativo di Mirror’s Edge, gioco di punta per console e pc. I personaggi femminili da lei creati hanno sfumature e personalità ben più sfaccettate della cara vecchia archeologa sexy che ci ha tormentato negli ultimi quindici anni, tanto per non fare nomi. In un’intervista, Rhianna non nega di aver incontrato difficoltà nel settore del game development che è ancora oggi prevalentemente maschile.
La presenza delle donne nell’industria vs il numero di donne giocatrici
Nonostante la percentuale di donne adulte che gioca, che rappresentano il 33 % del totale dei videogiocatori (40 per cento se si considerano anche le più giovani), secondo i più recenti dati internazionali riguardanti la forza lavoro all’interno dell’industria dei videogiochi le donne superano di poco il 10 %, e nel Regno Unito questa percentuale scende addirittura al 6,6. Un dato che è sintomo di un forte squilibrio tra ciò che chiedono le giocatrici e ciò che i team di sviluppo possono offrire. E questa scarna percentuale si riflette anche sui personaggi nei videogiochi che, nell’85 % dei casi, sono maschili e nel restante 15 % sono spesso frutto di un approccio maschile.
Brenda Brathwaite. Game designer di Facebook games
Una realtà che si dimostra essere più flessibile dei colossi internazionali è quella dei Facebook game, dove le videogiocatrici regnano sovrane anche grazie a una forza lavoro mista. Non è un caso che Brenda Brathwaite, designer di Train, gioco da tavolo controverso e di forte impatto emotivo, sia attualmente impegnata in uno dei nuovi concorrenti di Farmville, cioè Ravenwood Fair.
Abbiamo citato storyteller, game designer e teoriche a cui l’industria del game development deve molto. Questi però non sono i soli casi di eccellenza: esistono anche migliaia di donne che lavorano per far crescere nel loro piccolo questo settore anche a livello di programmazione di giochi sperimentali (come Anna Anthropy), o addirittura a livello imprenditoriale (come il duo canadese Silicon Sisters).
Sul web ci sono molti punti di ritrovo per queste donne, tra cui il canale ufficiale dedicato alle Women in Games dell’International Game Developers Associations.
E in Italia?
Da noi il mercato è quasi del tutto inesistente. Ci sono però ottime potenzialità di crescita e le donne possono ricoprire fin da subito ruoli professionali di rilievo. Ho iniziato a conoscere donne che programmano, che fanno grafica, che si occupano di marketing di videogiochi.
Siamo poche, ma forse sembriamo poche perché non sappiamo ancora chi siamo. E allora l’appello è: partecipate agli eventi, mettetevi in contatto con chi già sviluppa, iscrivetevi all’Igda e partecipate attivamente al suo neonato chapter italiano.
E potreste anche rispondere alla domanda diretta che Ivan Venturi (fondatore dello studio di game devlopment Koala Games e organizzatore dell’evento Svilupparty, che si terrà a Bologna il 5 marzo 2011) pone sul suo blog: perché le ragazze non fanno videogiochi?
Marina
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